venerdì 16 marzo 2012

Come con i mattoncini Lego/1

Audio Consigliato: David Bowie "Jump they say"

Ad un certo punto è una questione di punti fermi. Non ci sono dipende, non ci stanno se e non ci stanno ma. Punti fermi, da piantare e da usare come pietre angolari di una nuova costruzione. Cose di cui non si discute, più. Tanto non è che di cose di cui discutere non se ne trovino, dite?

In questo periodo sento molto parlare di libertà dell'informazione e del fatto che l'informazione (i giornali di carta stampata, in questo caso) sia seriamente minacciati dal taglio dei finanziamenti statali.

Dicono "il finanziamento è quello che consente la pluralità dell'informazione, il fatto che chi vuole ha una voce, togliere loro quei soldi equivale a togliere loro la voce."
Tutto vero, molto vero, anche molto giusto ma a me viene in mente il discorso di Baricco sul finanziamento alla musica ed agli eventi culturali.

La risposta dello scrittore era quella di affidare il futuro dell'industria culturale al libero mercato (trovate l'articolo sul sito di Repubblica, nella sezione archivio). Ero e sono d'accordo e penso che così dovrebbe essere anche per l'editoria.

Nel senso che se c'è la qualità, la ricerca e l'innovazione (che nel giornalismo come lo intendiamo dovrebbe essere assimilabile all'inchiesta, al commento alla ricerca ed alla riproposizione) allora arriva anche il successo ed, a seguire, il guadagno. Se, come invece sembra che accada nel mondo dell'editoria, il finanziamento pubblico viene messo in conto fin dalla fondazione della testata stessa, allora siamo di fronte a qualcosa di diverso.

Sembra quasi il premio per una rendita di posizione ("hai stampato delle copie, tieni il premio"), più che un premio di qualità, ed allora viene spontanea una domanda: se quando vado dall'edicolante a comprare un  giornale, spendo un euro, perché poi devo spenderne almeno un altro attraverso il finanziamento pubblico? E se al limite proprio bisogna finanziare, vorrei che finanziassero quello che ho comprato, non tutti a pioggia, anche quelli (ci sono fior di inchieste giornalistiche) che si preoccupano di stampare le copie e non di venderle.

Se il problema sono i costi, allora sono delle aziende che devono chiudere, e non perché lo dico io, ma perché glielo dice il mercato. Altrimenti in una economia di scala non solo vivono ma anche prosperano.
Negare questo significa dire che i giornali sono una cosa a parte, una specie di servizio pubblico in mano ai privati, un po' un controsenso, non trovate?

Parlo dei giornali perché questo è quello che capita in questi giorni ma questo tipo di buon senso a quante altre cose si può applicare? Ed una volta che diamo alle cose il proprio nome, possiamo anche dare loro il proprio significato e poi non parlarne più?

Alla prossima
Rampa

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