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Ho letto questo libro tutto di un fiato, due sole sessioni, fila bene, è scritto bene. Devo anche ammettere che l'ho letto con dei preconcetti, in passato avevo letto "In morte di un anarchico" di Dario Fo, nei giorni scorsi avevo seguito lo scambio di articoli fra Calabresi ed Adriano Sofri, condannato come mandante per l'omicidio Calabresi. La morte di Pinelli è stata un fatto di cui mi ero creato un'idea e questa coincideva con la lettura "storica" dell'evento. L'anarchico era stato ammazzato in seguito ad interrogatorio ed il commissario, membro fra i più "morbidi" della questura di Milano era stato oggetto di una violenta campagna diffamatoria in cui si incitava addirittura la sua esecuzione.
In tutta onestà, non avevo un'idea precisa dei fatti, di come la cosa si è svolta. Mi ricordavo solo la grossa discussione che si era verificata quando era stata richiesta la grazia a Sofri, Bompressi e Pietrostefani. Quello che all'epoca mi aveva colpito era stata l'incertezza pressochè unanime sulla sentenza definitiva e su come questa era maturata (principalmente in base alla testimonianza di Marino).
Dal libro, mi aspettavo una lettura politica dell'accaduto, una analisi storica circostanziata della catena degli eventi. Invece quello che Calabresi scrive è un resoconto emotivo delle vite dei famigliari delle vittime. Una memoria della mancanza di persone care, da qualche punto di vista dell'invidia per le famiglie che questa sottrazione non l'hanno subita.
Un racconto molto intimo sui sentimenti, sulle reazioni (molto bella l'intervista alla figlia di Antonio Custra, un poliziotto ammazzato durante gli scontri a Milano all'inizio degli anni 70, lo stesso scontro in cui è stata scattata la famosa foto del dimostrante con la rivoltella in mano), sulla solitudine che i familiari provano nel momento in cui lo Stato, di qualsiasi colore esso sia, si dimentica delle vittime, servitori dello Stato.
Purtroppo i morti non hanno mai ragione, il loro ricordo è sempre basato sulla tenacia dei loro familiari, che si sforzano di controbattere ad ogni distorsione della memoria, purtroppo la nostra memoria collettiva è corta (arriva più o meno ai Jalisse) e piuttosto di contestualizzare ci si accontenta di raccogliere i ricordi a casaccio (il manuale Cencelli delle targhe in memoria dell'anarchico Pinelli e del Commissario Calabresi, mi ha fatto sorridere amaramente).
Il racconto della campagna stampa contro Calabresi ad opera della sinistra di allora è agghiacciante, la persistenza di certa sinistra a non chiedere scusa ( e se non scusa, almeno comprensione) è imbarazzante. In qualche maniera aiutano la decisione del Presidente Ciampi di dare delle medaglie alla memoria, per tentare di pacificare uno scontro che molto, ma non troppo, tempo fa ha lacerato l'Italia.
Poi mi ha impressionato nel racconto, la totale assenza di odio nei confronti dei colpevoli, ma d'altronde l'odio consuma e la gente come la famiglia Calabresi, o la famiglia Biagi, che decide di andare avanti a vivere non ha bisogno di cose che consumano, sono dei pesi che impediscono loro di crescere e prosperare.
Poi ieri parlavo con Elena della parte dei colpevoli, del fatto che comunque iter processuali che si sono protratti nel tempo (in alcuni casi oltre trent'anni) corrono il rischio di portare in galera persone diverse da quelle che hanno effettivamente commesso il fatto. La domanda che mi veniva era: che tipo di giustizia soddisfa l'incarcerazione di persone "diverse" a tanta distanza dal fatto? E poi: il passare del tempo mette in prospettiva o in secondo piano tutto quello che sta intorno ad un fatto, seppur crudele e definitivo come un omicidio? Ci sono delle attenuanti?
Non ho trovato molte risposte nel libro di Calabresi, ho trovato però molta umanità, il sentimento di vedere l'esecutore materiale dell'omicidio di un membro della propria famiglia a riciclarsi in televisione come maitre a penser o a riprendere il proprio percorso di docente universitario deve fare male, un male pazzesco che non riesco nemmeno ad immaginare. Ma non c'è vendetta, come dicevo, non c'è odio. C'è solo un enorme desiderio di giustizia e voglia di continuare, nonostante tutto. Mi sento di consigliarlo come lettura, specie per quelli della mia generazione che quando tutto questo è successo erano troppo piccoli per capire.
Alla prossima
Rampa
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